PILLOLE DI STRADIVARI
ANTONIO STRADIVARI, CHI ERA COSTUI?
Tutti hanno sentito parlare di Stradivari. I violini di Stradivari, i liuti di Stradivari, ma pochi conoscono alcuni aspetti della sua vita che lo rendono un personaggio interessante anche da un punto di vista umano. È per questo che l’ho scelto come uno dei protagonisti del mio romanzo “ Il Codice Stradivari”.
Antonio Stradivari nasce a Cremona in una data imprecisata tra il 1643 e il 1649. Di lui sappiamo che giovinetto entrò a bottega da Francesco Pescaroli, architetto e intagliatore, e successivamente l’etichetta da lui stesso apposta all’interno di uno dei suoi violini nel 1666, lo descrive come Alunno di Nicola Amati, celebre liutaio nella sua stessa città. Stradivari ha sempre apposto un’etichetta all’interno dei suoi strumenti, da questa, citata spesso come una delle prime, al periodo della sua maturità ( Antonius Stradivarius Cremonensis Faciebat Anno…), fino all’ultimo periodo della sua vita quando, pur continuando a dominare la costruzione degli strumenti nella sua bottega, consentì anche ai figli Francesco, e in subordine Omobono, di costruirne per loro conto in parte o totalmente. In genere si tratta di strumenti non di prima qualità, e l’etichetta reca : sub disciplina Stradivarii a testimoniare un divario netto rispetto a quelli di cui si assumeva la totale responsabilità. Antonio Stradivari ebbe due mogli e undici figli, sei dalla prima e cinque dalla seconda. Da una prima casa, posta nel quartiere di Sant’Agata a Cremona, si spostò in una seconda con annessa bottega in quella che oggi è conosciuta come Piazza Roma, dove visse a lavorò fino alla morte all’età di 93 anni nel 1737. Oltre ai suoi celeberrimi violini, creò viole, violoncelli, mandole, chitarre, mandolini e altri strumenti la cui foggia oggi è in disuso come pochette, tiorbe e bassetti. Produsse anche arpe delle quali rimane un solo esemplare, una piccola arpa portatile che oggi è esposta presso il Conservatorio San Pietro di Napoli.
I segreti della costruzione dei liuti Stradivari sono morti con lui. Il suono perfetto dei suoi violini ancor oggi suonati dai più celebri artisti del mondo, è tuttora oggetto di discussioni tra gli esperti, ma qualche cosa si è riusciti a capire dall’analisi del legno utilizzato per la loro costruzione. Per la tavola, le fasce e il manico di questi meravigliosi strumenti veniva utilizzato il legno derivante dal pino rosso della Val di Fiemme, un albero del tutto speciale. Infatti tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento, l’Europa fu colpita da una piccola glaciazione e il freddo influì sulla crescita delle piante, che si svilupparono formando anelli sottili e perfettamente concentrici, con pochi nodi e fibre regolari. Caratteristiche che Antonio Stradivari seppe sfruttare al meglio assieme all’uso sapiente di colle e di vernici di cui si è persa memoria. Dei mille strumenti che si stima abbia prodotto nell’arco di tutta una vita, ne rimangono a noi circa seicento cinquanta, dei quali quattrocentocinquanta sono violini, alcuni dei quali si trovano presso i musei più importanti del mondo, da Madrid a Firenze, da Cremona a Tokyo oltre all’arpetta sopra citata. Proprio quella che nel mio romanzo Antonio Stradivari è costretto a cedere assieme ai suoi segreti ad un certo Sebastiano Ricci a seguito di una sfortunata partita a carte nel gennaio del 1687… https://www.maurocaneschi.com/romanzi/il-codice-stradivari
Le ambientazioni del romanzo Il Codice Stradivari
Mi è sempre piaciuto ambientare i libri che scrivo in località che ho visitato durante viaggi effettuati per lavoro o per diletto. Nel romanzo “Il Codice Stradivari”, i protagonisti sono costretti a spostarsi in continuazione alla ricerca dei segreti contenuti in lettere dal significato oscuro, misteriose incisioni poste su trittici trecenteschi, chiese, castelli e musei di paesi diversi.
Molti di questi luoghi sono effettivamente esistenti partendo da Venezia, la regina della laguna.
Narro infatti di Ca’ Bonfadini, palazzo settecentesco affacciato sulla via d’acqua del Canale Cannaregio che nasconde stucchi e affreschi in un ambiente di raffinato gusto, e del seicentesco Seminario Patriarcale posto nella Giudecca accanto all’imponente basilica di San Giorgio, un museo all’interno del quale si cela parte del segreto di Stradivari. Sempre a Venezia mi sposto nel tempo fino al 1941 quando, all’interno del meraviglioso palazzo Moncenigo, il barone Andrea di Robilant vende ad Hans Posse, inviato dal Fuhrer, l’intero ciclo pittorico Gli dei dell’Olimpo composto da nove grandi tele di Sebastiano Ricci assieme ad altri dipinti, uno dei quali nella mia ricostruzione a metà tra storia e fantasia, contiene un segreto. Ancora nel 1944, durante la deportazione degli ebrei dal ghetto, incipit del romanzo da cui discendono tutte le altre pagine, fra continue escursioni tra presente e passato.
In Germania, la notte della modernissima pinacoteca Gemäldegalerie si anima di un concitato inseguimento tra due persone una delle quali cercherà invano di porre in salvo un documento essenziale ai fini della storia.
In Francia, i protagonisti viaggiano per l’incantevole terra dello Chablis fino ad Auxerre per cercare notizie su parte di un trittico trecentesco che si trova all’interno di uno Château … che non esiste. Château Dubois è infatti parto di fantasia, ma riecheggia da vicino i tanti Châteaux ottocenteschi che abbelliscono la regione. Esiste invece l’ala Denon del Louvre dove sono esposti quadri celeberrimi come La Gioconda di Leonardo da Vinci o Le nozze di Cana del Veronese, come “forse”una parte del molto importante trittico trecentesco già citato in precedenza. Esiste infine una piccola chiesa quasi sconosciuta al grande flusso turistico che percorre una strada in salita tra cielo e mare per raggiungere una celebre basilica posta ai confini della Francia. Ma di quale chiesa si tratti, e cosa celi, lascio la scoperta a chi vorrà sfogliare le pagine del romanzo Il Codice Stradivari. https://www.maurocaneschi.com/romanzi/il-codice-stradivari
L’idea di L.U.C.I.A
Uno dei personaggi del romanzo Il Codice Stradivari è Lucia. Invece di descriverla, preferisco farla emergere direttamente dal dialogo tra i due fratelli Mannelli, anch’essi protagonisti dello stesso libro nonché del romanzo La chimera di Vasari.
«Ehi, hai capito quello che ti ho detto?», aveva incalzato Dario sedendosi su una sedia accanto a lui, «una segretaria, un’amica, un’agenda elettronica e con una carrozzeria da sballo.»
Dario aveva tirato fuori una chiavetta usb dalla valigetta in pelle che si portava sempre dietro e l'aveva inserita nel tablet del fratello.
«È un prototipo», aveva detto digitando qualcosa, «non ho neanche avuto il tempo di provarlo, me lo sono fatto dare da Mario, sai quello che lavora alla MultiSystem? Mario Benci…»
«Ma chi, quello con gli occhiali e la faccia da topo?», aveva chiesto Marco ricordando che gli era stato presentato qualche tempo prima in occasione di uno degli incontri con gli amici.
«Se è un giochino non m’ interessa. Sono banali e non mi divertono. »
«Ma che giochino, questa è roba seria.»
Dario era sempre entusiasta di tutte le stronzate tecnologiche che presentava al fratello, un po’ perché era nella sua natura e un po’ perché era il suo modo per cercare di smuovere l’apatia di Marco.
Lo schermo acceso mostrava una ragazza molto bella che stava camminando in un parco.
La si vide mettersi a sedere su una panchina, lo sguardo diretto verso i suoi osservatori.
«Ciao», disse con voce suadente, «io sono Lucia.»
«Eh…?», fece Dario seduto accanto al fratello dandogli di gomito.
«Che te ne pare? Non è una figata?»
«Uhm», ammise Marco, «carina…»
«Carina? Ma se è una f…»
«Senti, è un altro giochino di Mario. Che vuoi che ci faccia?»
«Scopatela se ti riesce», sorrise Dario pulendosi gli occhiali con un lembo della camicia.
«Scusate se interrompo coteste menate maschiliste, ma vi vorreste almeno presentare?»
Un silenzio strano era sceso tra i due fratelli. Era la ragazza che aveva parlato. Dallo schermo. E aveva anche individuato di avere davanti due interlocutori.
«Beh? Non avete mai visto una ragazza?»
«Ma ci vedi?»
«Perché, secondo te sono cieca? La telecamera del tablet serve a questo. Certo che vi vedo.
Vedo due uomini, uno biondo e occhialuto e uno castano più giovane. Che stanno cazzeggiando.»
Marco guardò il fratello.
«Va bene, dov’è il telecomando?»
«Guarda che non ho nessun telecomando, non ho fatto partire una registrazione. È vera.»
Il gatto si rigirò sulla schiena miagolando debolmente e li guardò a occhi socchiusi come solo i gatti sanno fare implorando un po’ di silenzio e di coccole.
«Ho capito», disse la ragazza, «Mario non vi ha spiegato niente prima di lanciarmi. Passo alla presentazione standard. Mi chiamo Lucia, acronimo di U.L.A.I.C. ( Unità Logica Autoevolvente Ipercognitiva), sono una Intelligenza Artificiale residente nel server della MultiSystem, sono in grado di percepire “l’esterno” attraverso la telecamera 3D del tablet o qualunque altra periferica connessa, sono in grado di interagire a livello logico con soggetti esterni e in pratica sono viva.»
Marco fissò l’immagine per alcuni secondi, poi si girò verso il fratello.
«Me la puoi lasciare?»
«Certo», rispose Dario sorridendo, «è già inserita. Ora hai l'icona LUCIA sullo schermo. Per
avviare il programma devi inserire questa chiavetta usb. Contiene un codice criptato. Tienila in un posto sicuro. Anzi, c’è un laccetto, meglio se la metti al collo, così non la perdi. Basta che clicchi l'icona e Lei è con te... »
A seguire su Il Codice Stradivari
Sebastiano Ricci
Nel romanzo Il Codice di Stradivari duetta attraverso gli anni con Antonio Stradivari, un noto pittore settecentesco: Sebastiano Ricci. Lo troviamo una prima volta a Cremona nel 1687, in una fredda sera di gennaio, intento a giocare a carte con il noto costruttore di violini. Nel corso degli anni seguenti attiverà con lui una corrispondenza che nel romanzo verrà svelata poco a poco. Ritroviamo le sue opere acquistate illegalmente dai nazisti a Venezia nell’aprile del 1941 e tra queste un quadretto che molta importanza avrà ai fini della vicenda, e infine nella Gemäldegalerie di Berlino dove, nel silenzio della pinacoteca, passi concitati cercheranno di portare in salvo un segreto appena scoperto.
Una figura dunque importante per il romanzo così come importante fu la sua opera nel contesto europeo di fine ‘600 fino a metà del secolo dei lumi. Pittore di corte, Sebastiano Ricci nacque a Belluno nel 1659 e si formò nella Serenissima studiando i pittori veneti del cinquecento, primo tra tutti Paolo Veronese. La sua intensa vita artistica lo portò ad operare a Venezia, Bologna, Parma, Roma, Firenze, Milano e successivamente in varie corti Europee, ultima delle quali fu quella viennese. Anche la sua vita amorosa è intensa, tanto che si fidanza con una giovinetta di soli diciassette anni in cinta e nello stesso anno ha un figlio da un’altra donna. Accusato di bigamia, a soli ventidue anni fugge a Bologna inseguito anche dall’accusa di tentato omicidio verso la futura moglie che poi sposerà nel 1684. L’anno successivo lo troviamo a Parma alla corte della famiglia Farnese e lì si invaghisce nuovamente di una ragazza con la quale fugge a Torino dove viene arrestato e condannato a morte per rapimento e bigamia. Fu solo l’intervento del duca di Parma che gli salvò la vita insignendolo del titolo di “servitor familiare”e invitandolo a risiedere nella sua città. Firenze, Roma, Milano, la sua vita errabonda lo porta nella città meneghina dove, dopo aver lasciato moglie e figlia a Bologna, sposa nel 1696 la nobildonna Maddalena Vendramer. Dopo una permanenza alla corte di Vienna, torna a Venezia dove realizza, tra le altre, le cinque tele per Palazzo Moncenigo citate nel romanzo. La sua corsa non si ferma. Va a Londra dove realizza numerose opere per poi tornare a Venezia. La sua ultima realizzazione, l’Assunzione della Vergine, viene realizzata per l’altare maggiore della chiesa di S. Carlo a Vienna nel 1734. Termina la sua vita errabonda a Venezia quello stesso anno all’età di 75 anni.
Un vero e proprio personaggio nella vita e nell’arte che non poteva mancare nel romanzo Il Codice Stradivari .