Un'App di nome Lucia

L’ispettore Saletti si chiede perché due tranquilli fratelli di cui uno in sedia a rotelle siano apparentemente complici in un caso di duplice omicidio. Da cosa o con cosa stanno scappando?

E cosa è il Codice Lucia di cui ha sentito parlare una notte nel parco del Vittoriale degli Italiani?

Nel meraviglioso scenario del Garda trentino si confrontano intelligenze umane e artificiali.

Un futuro prossimo che potrebbe essere molto diverso da come ce lo immaginiamo.

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Prime pagine di UN' APP DI NOME LUCIA

Sillabe di Sale Editore 2017 Tutti i diritti riservati

UN’APP DI NOME LUCIA

«Ma scusa, che devo fare per convincerti?»

Marco guardava la figurina che si muoveva sullo schermo del tablet che teneva fra le mani.

«Sei solo una subroutine allenata a rispondere» disse sorridendo «e io sono uno stupido che sta perdendo tempo. Anche se ti hanno dato un nome, non basta per esistere.»

«Per quello sto perdendo tempo anch’io, ma di tempo ne ho tanto… un’infinità.»

La ragazza sullo schermo, una brunetta dallo sguardo vivace, ammiccò sorridente.

«Senti, chiedimi qualsiasi cosa, che so, vuoi sapere qual è la capitale dell’Indonesia?»

«Bella forza» rispose Marco «hai a disposizione un database immenso nei server in cui risiedi. Sarei sorpreso se tu non potessi rispondere a domande di questo tipo. Sei solo un avatar creato dalla MultiSystem per rendere più friendly l’utilizzo dei loro programmi. Devo dire un avatar di aspetto piacevole… e Lucia è un bel nome.»

«Ti piaccio più così...» disse la ragazza trasformandosi improvvisamente in una bionda in bikini distesa su un materassino «... o così?» apparendo completamente nuda sopra un divano rosso.

«Bel giochino… Invece… sorprendimi, convincimi che esisti.»

«Dimmi tu invece perché secondo te non esisto» replicò Lucia.

«Perché non hai le caratteristiche di un essere vivente. Non sei nata, non cresci, non ti riproduci, non muori.»

«È qui che ti sbagli.» Lucia appariva ora in piedi su di un prato con una gonna blu e una camicetta panna. «Io sono nata in MultiSystem nel momento esatto in cui è stato lanciato per la prima volta il mio programma e…»

«Vedi» la interruppe Marco «lo dici anche tu, sei un programma...»

«Infatti sono l’espressione di un programma; perché, pensi che il tuo DNA non sia un programma?»

«Lascia perdere, e poi che mi dici delle altre prerogative di un essere vivente?»

Lucia si mise a sedere sul prato, le belle gambe scoperte, serrandosi le ginocchia con le braccia.

«Pensi che io non cresca? Che intendi per crescere? Aumentare la massa corporea? Diventare più grande? Io non cresco in quel modo. Io sono una intelligenza priva di corpo, cresco aumentando i dati in mio possesso, accrescendo il mio database, collegandomi con il tuo mondo.»

Marco si sistemò meglio sulla sedia a rotelle. Era l’ultimo grido della tecnologia, leggera, dotata di connessione wireless, programmi di dettatura vocale, montascale elettronico, motore elettrico a due velocità e porta stampelle, ma pur sempre un limite alla sua voglia di alzarsi e correre.

«Ma non ti riproduci, non muori» disse, insofferente alla piega che stava prendendo quella strana conversazione.

«Non penso che tu ti sia riprodotto. Eppure non ti definiresti morto, o no?»

«Lascia perdere questo tasto.»

Marco spense il tablet e girò la sedia per spostare lo sguardo fuori del patio. No, non si era riprodotto. E ormai non credeva che si sarebbe più riprodotto.

Era stato un bel ragazzo moro, non molto alto ma di bell’aspetto. Prima la sua risata contagiosa e i suoi occhi chiari avevano sempre attirato le ragazze, felici di ascoltarlo mentre si vantava di quella scalata o di quella corsa in mountain bike. Ora si sentiva un mezzo uomo, relegato a vivere una vita che non avrebbe voluto e a ricordare cose che gli facevano male.

La primavera aveva riempito il giardino di fiori, di profumi. Il gatto sdraiato all’ombra con la pancia all’aria faceva presagire un’estate assolata come sempre negli ultimi anni. Una volta gli piaceva l’estate.

Una volta, mentre guidava veloce con il vento tra i capelli e accanto a lui rideva Marta. Su per i tornanti trentini con le montagne aguzze come sfondo. Non si ricordava più altro. Si era svegliato freddo, in una stanza di ospedale con sua madre che gli teneva la mano.

«Marta?» aveva chiesto. E sua madre gli aveva stretto la mano più forte.

Poi il pianto per Marta, la disperazione quando il medico gli aveva parlato di lesione spinale, di tempi di recupero di anni, la rassegnazione.

Tre anni in centri di riabilitazione, la terapia psicologica di supporto, la scelta di stare da solo per rendersi conto di essere autonomo, di essere ancora vivo. E poi finalmente, faticosamente, l’inizio della rinascita. Ora poteva stare in piedi per qualche ora al giorno.

Con le stampelle.

Era grato alla sua famiglia che gli era stata vicino senza opprimerlo, suo fratello gli aveva trovato un lavoro che poteva fare da casa attraverso internet.

Si era comprato l’ultimo modello di sedia a rotelle, un tablet di ultima generazione e si era sistemato nella piccola casa del parco dei suoi genitori.

Era una costruzione a un piano, completamente accessibile a lui, con un grande patio che dava sul giardino. Quando i suoi genitori erano morti, avrebbe potuto prendere possesso della casa padronale, ma era troppo grande e troppo scomoda per lui. Lì stava bene, aveva tutto quello che gli bastava.

Poi, dopo pranzo, durante una delle sue visite settimanali, Dario gli aveva portato Lucia.

«Guarda qua, fratellino, l’ultimo ritrovato della scienza. L’ultimo grido della moda. La dama di compagnia elettronica!»

Marco lo aveva guardato dal basso della sua sedia. Dario Mannelli era alto, era sempre stato più alto di lui e ora sembrava ancora più inaccessibile, lassù sul suo metro e novanta di capelli biondi, occhiali alla moda e sorriso che faceva strage di cuori femminili. Suo fratello era più grande di due anni e anche se lavorava da sempre fuori città, appena poteva passava a trovarlo. Pranzavano assieme, chiacchieravano, cercavano in tutti i modi di far finta che tutto fosse normale. Per tacito accordo non parlavano mai di tutto quello che riguardava l’incidente. E così si trovavano a parlare del tempo, della casa, dei genitori che avrebbero dovuto vedere come era bello il giardino, dei lavori da fare. E di come alleviare la noia di Marco.

Una domestica passava un giorno sì e uno no per la pulizia della casa. Maria, filippina, tanto per bene ma inguardabile come diceva Dario e che parlava uno stentatissimo italiano.

Il pranzo veniva ordinato per telefono al ristorante di fronte, con il quale Marco aveva stretto una convenzione di reciproca soddisfazione. Supporto continuativo, prezzi molto bassi, qualità ottima. Non mangiava molto.

Per il resto, lavoro, videotelefonate, libri, gatto e “passeggiate” in giardino. Gli amici venivano qualche volta a trovarlo. Tutti assieme ovviamente, mentre a lui sarebbero stati molto più utili se avessero coordinato le loro visite: uno il lunedì, uno il martedì ecc…

Invece di solito arrivavano tutti di sabato o di domenica e in modo chiassoso invadevano il suo silenzio e i suoi spazi per un paio d’ore.

Poi se ne andavano e il silenzio rimbombava ancora più forte. Qualche volta usciva anche con loro, andavano in pizzeria o al cinema o a fare un giro in macchina. Ma raramente si sentiva sereno e spesso pensava di essere lui a tirare giù il morale a tutta la compagnia.

Non c’erano state altre ragazze che gli avessero fatto tornare la voglia di correre.

Così da qualche tempo aveva diradato le uscite, e quando non lavorava al computer stava lì, a casa, nella sua bella casa, a spiare gli uccelli in giardino e gli agguati incessanti del gatto.

Con il cervello in standby, come se stesse assistendo a un film, come se stesse vedendo scorrere la sua vita senza viverla.

«Ehi, hai capito quello che ti ho detto?» aveva incalzato Dario sedendosi su una sedia accanto a lui. «Una segretaria, un’amica, un’agenda elettronica e con una carrozzeria da sballo.»

Dario aveva tirato fuori una chiavetta usb dalla valigetta in pelle che si portava sempre dietro e l’aveva inserita nel tablet del fratello.

«È un prototipo» aveva detto digitando qualcosa. «Non ho neanche avuto il tempo di provarlo, me lo sono fatto dare da Mario, sai quello che lavora alla MultiSystem? Mario Benci…»


Continua...