Il bottone del Diavolo

Il bottone del Diavolo

Hermann Weber.

Un nome come tanti. Un uomo come tanti, confuso nella folla che si affaccenda tutte le mattine a Berlino. Impiegati, operai, professionisti, giovani che vanno a scuola, poliziotti di quartiere. E gli altri, quelli come lui che cercano disperatamente una soluzione per vivere, per tirare avanti. Ha cinquant'anni Weber e li sente tutti, pesanti come macigni sul suo curriculum. Ha lavorato poco e male in quegli anni, trenta dei quali a spese della madre vedova che si è data un gran da fare per mantenerlo agli studi e permettergli di galleggiare senza praticamente fare nulla. Studente fuori corso all’Accademia di Belle Arti, dove si recava più che altro per frequentare qualche giovane studentessa, dieci anni come bidello in una scuola privata fino a quando lo avevano trovato a rimestare nelle tasche dei cappotti degli studenti e lo avevano cacciato in malo modo. Dei suoi “studi” universitari gli era rimasta un'abilità nel disegnare soprattutto nudi femminili e nient’altro. Aveva anche cercato di campare con quell’attività, vendendo disegni alla stazione e nei centri commerciali, ma non ne era venuto fuori niente. Poi un’altra decina di anni come socio in una gelateria aperta in uno dei quartieri più malfamati di Berlino. Un affarone, gli aveva proposto Albert, l’amico di mille scorribande. Avevano vivacchiato bene fino alla seconda rapina. Albert era stato pure ferito e nel frattempo era morta anche sua madre. Un disastro. Da solo non ce l’aveva fatta e i debiti l’avevano travolto. Da due settimane si rivolgeva ai gesuiti per avere qualcosa da mangiare. Si mise una mano in tasca per l’ennesima volta, a cercare qualcosa di diverso dai pochi spiccioli rimasti. Si appoggiò alla sponda dell'Admiralbrücke guardando svogliatamente il lento fluire del fiume. D’estate i giovani si riunivano sul ponte per chiacchierare, bere, far festa. Ma ora in quel grigio novembre, una nebbiolina fitta fitta saliva dalle acque color piombo e il sole pallido dietro le nuvole basse non riusciva a scaldare la sua cupa disperazione. Un foglio del Bild-Zeitung spinto da un refolo di vento gli si appiccicò a una scarpa. Titoli cubitali. Quella settimana l’Eurojackpot era di 11 milioni di Euro e qualche spicciolo. Già, qualche spicciolo. Non ho neanche i soldi per giocare… Undici milioni di euro… Quante cose avrebbe fatto con undici milioni di euro! Quante cose sarebbe stato capace di fare per undici milioni di euro. Qualunque cosa. Sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa…

«Non sono poi molti, sa?»

Hermann si voltò sulla destra. Accanto a lui, sul ponte, un uomo di aspetto distinto l’aveva apostrofato con una voce calma e suadente, come se fosse stato un suo vecchio conoscente. Alto, folti capelli bianchi, baffi e barbetta a punta un po’ demodé, ostentava comunque un certo fascino. Gli occhi gli sorridevano da sotto le folte sopracciglia.

«Come ha detto scusi?»

«Mi sono permesso di interpretare i suoi pensieri. Ho visto che dava un’occhiata al giornale» disse quello indicando il foglio che, liberato dalla scarpa di Hermann, se ne stava svolazzando sul ponte.

«Mi presento: Sthoöle Mefis per servirla.»

Ma come parlava quel tipo?

«Hermann Weber» disse lui tendendo la mano.

La stretta era forte, gelida. Hermann ritirò la mano. Anche se era mezzogiorno, un brivido di freddo l’aveva attraversato da capo a piedi , un freddo cane.

«Già… perché non andiamo a prendere qualcosa di caldo? Le va? Offro io. Vorrei parlarle di un mio piccolo progetto» disse l’uomo prendendolo per un braccio e accennando ad attraversare il ponte.

«Ci conosciamo?» rispose Hermann sospettoso.

«In un certo qual modo abbiamo avuto a che fare negli ultimi tempi. Ora però mi sono voluto manifestare di persona. Penso che sia venuto il momento di farle una proposta.»

Hermann lo squadrò. Manifestare di persona… chissà cosa vorrà dire con questa frase… Però è ben vestito, elegante, forbito, magari è anche pieno di quattrini. Che ho da perdere?

«Perché no?» rispose accettando di buon grado la compagnia.

Il tizio sembrava proprio ben messo. Maglione bianco a collo alto, cappotto elegante orlato di pelliccia, guanti di nappa.

Magari rimedio un pranzo per una chiacchierata, pensò Hermann. Un progetto, aveva detto. Bene, al momento lui non ne aveva. Sta a vedere che risolvo la giornata, decise entrando nel locale.

Seduti al calduccio davanti a una tazza di cioccolata calda, si stava decisamente bene, Ambiente raffinato, silenzioso, ben frequentato. Dall’ampia vetrata accanto al tavolino d’angolo, Hermann poteva seguire il passeggiare frettoloso delle persone imbacuccate di qua e di là dal ponte.

«Allora» iniziò «mi aveva parlato di un progetto…»

«Prima, vorrei che guardasse nella strada… ora»

Lungo il fiume un vecchietto stava attraversando la strada. Dalla sua destra sbucò veloce dalla nebbia un camioncino. L’autista vide il pedone pochi istanti prima dell’urto. Dall’interno del locale Hermann sentì chiaramente l’urlio degli pneumatici che cercavano di fermare il mezzo e il tonfo sordo del corpo che rimbalzò sul cofano prima di piombare sull’asfalto. Si alzò di scatto anche se già alcuni passanti si stavano dirigendo sul luogo dell’incidente.

Si voltò verso il suo ospite intento a lisciarsi la corta barbetta con un sorriso ironico stampato sulla faccia.

«Ma… ma… Ha visto?» disse sbiancando in volto.

«Certo», disse l'altro con calma, «sono stato io.»

«Cosa!?»

«Vede», disse l’uomo invitandolo a sedere, «se non ci fosse stata la nebbia, se il conducente del camioncino non avesse avuto fretta e non si fosse fatto tentare da una birra di troppo, se il vecchietto non avesse attraversato proprio in quell’istante…»

«E lei che c’entra?» chiese Hermann sempre più sconcertato.

«Sono io che faccio accadere questi eventi. Non lo pensa sempre anche lei? Se non fosse stato per chi ci mette lo zampino…»

«Il diavolo!» concluse l’ormai sbigottito Hermann,

«Esatto! Uno dei nomi con i quali sono molto conosciuto in questo mondo.»

«Non è possibile, è uno scherzo… un caso…»

«Un caso?» si irrigidì l’altro prendendolo per un braccio.

«Vede quella ragazza? Là, sotto quel cornicione.»

Hermann spostò lo sguardo verso l’altro lato della strada dove era arrivata una autombulanza e il capannello di persone si stava facendo più fitto.

Una giovane donna, doveva avere una ventina d’anni, si era appoggiata al muro di una casa, sconvolta da quello che aveva visto.

«Tra un minuto, si aprirà la finestra del terzo piano e “se ci metto lo zampino”un grosso vaso di fiori le piomberà sulla testa. Se vuole può uscire e salvarle la vita…basta che si sposti» disse il suo ospite lasciando la presa.

Hermann non stette a pensare all’assurdità della cosa. Balzò dalla sedia e uscì dalla caffetteria. In un attimo fu davanti alla ragazza, la strattonò di lato mormorando qualcosa. Lei non fece a tempo a riprendersi da quell’aggressione inaspettata che un grosso vaso di fiori la rasentò per schiantarsi sul marciapiede.

Hermann, bianco come uno straccio, balbettò qualcosa, lasciò il braccio dell’ancor più sbigottita fanciulla e si diresse barcollando verso casa.

Dopo pochi passi si rese conto di essere arrivato nuovamente davanti alla caffetteria. Era confuso. Il distinto signore dai capelli bianchi lo stava guardando dalla vetrata. Gli fece cenno di entrare. Lui obbedì come un automa.

«Si è convinto, ora, signor Weber?» gli sorrise mellifluo.

«Io… io non capisco…»

«Non c’è niente da capire. Lei sapeva già della mia esistenza. Mi ha nominato parecchie volte durante la sua vita e penso che sia ora di passare alla fase successiva. Vede» continuò versandosi dell’altra cioccolata «io sono a caccia di anime per il mio regno. Lei lo sa che ha un’anima?»

«Beh, veramente, non ho mai…»

«Non ci ha mai pensato, vero? Infatti a cosa le è servita finora? A niente. Non si vede, non si tocca… Una cosa inutile per lei ma utile per me. Le propongo un patto. Lei ha desiderato ardentemente quei milioni di euro della lotteria. Ha pensato che avrebbe fatto qualsiasi cosa per averli. Ecco, guardi… » così dicendo accennò a una valigetta nera apparsa chissà come accanto a una gamba del tavolo.

«Qui dentro ci sono esattamente undici milioni di euro. La apra pure. Con discrezione. Li conti se vuole, ma può fidarsi. Ha visto con i suoi occhi che per me volere è potere. In cambio le chiedo solo una vita.»

«Una vita?» domansò Hermann mentre posta la valigetta sulle ginocchia la stava socchiudendo.

Il diavolo sorrise ancora facendo apparire facilmente dal nulla un lapis appuntito. Iniziò a disegnare sulla tovaglietta di lino bianco. Pochi tocchi e apparve un bottone, un piccolo bottone, disegnato in trompe-l’oeil, in 3d, tanto da sembrare reale.

«Se lei schiaccerà questo bottone, se vorrà usarlo, esprimerà la sua volontà di uccidere un uomo. Non qui, certo. In un posto lontano, in un altro paese. Una persona che non conosce, e con la quale non ha mai avuto niente a che fare, morirà d’infarto. Tutto qui. A quel punto potrà avere i suoi milioni e goderseli per tutta la vita. Ci pensi» aggiunse fulminandolo con uno sguardo che avrebbe attraversato un muro «ricchezza, abiti di lusso, donne bellissime, ville con piscina, viaggi. Una vita da ricco. Poi, ovviamente, alla sua morte che speriamo accada il più tardi possibile, la sua anima sarà mia. Del resto che le costa, non si è mai neanche accorto di possederla…»

Hermann chiuse la mascella che si era aperta penzoloni per lo stupore via via che il diavolo esponeva la sua proposta. La valigetta era effettivamente colma di fogli da 500 euro. Erano veri? Non li aveva contati ma… Quell’uomo… quel… qualunque cosa fosse, aveva dimostrato di possedere dei poteri straordinari. Del resto se fosse stato tutto uno scherzo, avrebbe premuto un bottone finto e avrebbe ricevuto una valigetta piena di denaro falso.

Ma se non fosse stato uno scherzo? Il Diavolo! In persona! Davanti a lui! La valigetta era lì, sul tavolo. Undici milioni di euro. Doveva prenderli. Era la sua occasione. Non poteva buttarla via. Non poteva. Uccidere un uomo… Non poteva fare neanche questo. Anche se sconosciuto, non poteva fare morire un uomo così, per averne un guadagno. Undici milioni di euro… E la sua anima? Certo, non aveva mai avuto sentore della sua presenza, ma se fosse esistita davvero?

«Allora, che ne dice? Prenda una decisione. Guardi che ho mille altre cose da fare sa?

«Ma…» fece Hermann sorpreso dalla banalità della cosa.

«Ah, preferirebbe firmare un patto con il sangue? Via, sono cose che non si fanno più, basta una semplice dichiarazione. Lei accetta di usare il bottone e ottiene la valigetta. Alla sua morte, verrò a riscuotere la sua anima. Nel frattempo, per tutta la vita, si godrà undici milioni di euro.»

Hermann si raddrizzò per un attimo sulla sedia. Nella strada, il capannello di gente si andava disperdendo. L’autoambulanza era ripartita con il suo triste carico e un carro attrezzi stava portando via il camioncino danneggiato. La vita vicino al ponte riprendeva il suo corso normale. Una persona in meno. Una in più. Cosa cambiava?

Pensò rapidamente.

«Se ho ben capito, lei si impegna a fornirmi gli undici milioni di euro che sono in questa valigetta se io mi impegno a utilizzare il disegno che lei ha fatto sul tavolo.»

«Esatto, mio caro. Né più né meno» rispose il diavolo.

«Va bene. Mi impegno.»

«Molto bene» disse l’altro gongolante.

Hermann si allungò per prendere il lapis e chiusa la valigetta la portò accanto al suo piede destro, sotto il tavolo.

«Allora, vediamo…» disse poi iniziando a disegnare anche lui.

Il suo interlocutore lo guardò stupito piegandosi per osservare meglio.

Sfruttando i suoi trascorsi all’Accademia delle Belle Arti, Hermann disegnò un altro piccolo bottone vicino al primo. Poi descrisse una curva tondeggiante sotto ognuno dei due bottoni. Due areole più scure. Lavorò di ombreggiature e di ricordi fino a eseguire la perfetta rappresentazione di due seni. Un piccolo capolavoro. Sembravano veri, con i loro capezzoli che parevano svettare sopra la superficie del tavolo.

Un acre odore di zolfo iniziò a diffondersi dalla figura che sedeva di fronte a lui.

«E questo cosa vuol dire?» domandò la creatura demoniaca irrigidendosi.

«Vuol dire» rispose Hermann alzandosi con la valigetta nella mano destra «che ho utilizzato il disegno da lei tracciato sul tavolo per eseguire un’opera d’arte che lei mi ha pagato undici milioni di euro. Ognuno ha ottemperato al suo impegno. La saluto» aggiunse poi brevemente aprendo la porta del locale e uscendo in strada.

Il Diavolo lo guardò fendere la nebbia.

Hermann stava ancora sorridendo quando dalla sua sinistra spuntò un’auto lanciata a tutta velocità. L’urto fu impressionante. Il corpo, scaraventato in aria, colpì un lampione e ricadde sull’asfalto a una ventina di metri di distanza, in una pozza di sangue. Mentre accorreva gente, Hermann esalò l’ultimo respiro. Assieme a quello, invisibile a tutti, anche la sua anima immortale uscì dal corpo che aveva occupato per cinquant'anni.

Hermann Weber, un uomo come tanti. Piccoli gesti di bontà, piccoli peccati veniali. Fino a quel giorno. Aveva accettato il denaro del diavolo, ma non aveva accettato di uccidere un altro essere umano. Quale sarebbe stata la sua sorte. Inferno o Paradiso? L’anima ristette un attimo. Poi decise.


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